di Alberto Rossi

Il processo legislativo in corso a Bruxelles sulla riforma della Direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici (Energy Taxation Directive) ha registrato recentemente un passaggio significativo. Nel corso della riunione d’alto livello (high level working party) dei rappresentanti dei Ministeri delle Finanze dell’Unione dello scorso 26 marzo, l’Italia ha infatti espresso le proprie forti riserve politiche e preoccupazioni relative a questa proposta. Abbiamo già avuto modo di approfondire le criticità esposte in materia, appare tuttavia importante evidenziare come la proposta della Presidenza Belga, ancorché migliorativa rispetto alla versione iniziale della Commissione in quanto prevede un’entrata in vigore differita della tassazione per i biocarburanti e deroghe per i collegamenti con le isole, inserite come apertura nei confronti delle istanze del settore marittimo, sia comunque foriera di gravi conseguenze per il trasporto marittimo del nostro Paese, che bene ha fatto quindi a manifestare le sue perplessità.

La tabella che segue è quantomai utile per comprendere il potenziale impatto sui servizi marittimi e sulle relative attività accessorie, fra cui quelle portuali ovvero relative anche alla fornitura di carburanti.

Come era già accaduto per il regime ETS, l’Unione conferma la propria inspiegabile freddezza riguardo allo sviluppo delle alternative marittime al “tutto strada”, confermando quello che si temeva: lo shift modale è verso la ferrovia (del resto il cuore geografico dell’Unione nulla ha a che vedere con il mare!). Se un indizio è tale e due fanno una prova, essersi dimenticati delle Autostrade del Mare è davvero un errore a cui un Paese come il nostro doveva opporsi.

Ancora, e analogamente, verrebbero colpiti i servizi di feederaggio contenitori fra i porti di transhipment e gli altri scali, e in questo caso il rischio è il medesimo causato dall’Emission Trading System, ovvero quello di una delocalizzazione delle attività di trasbordo in porti extra-europei ma comunque a ridosso degli Stati comunitari (è ancora il caso del Nord Africa), servizi che potrebbero rifornirsi a costi del tutto competitivi rispetto ai servizi interni alla Unione che certo non possono andare in Tunisia a bunkerare. Di conseguenza, la competitività dei terminal di transhipment all’interno di uno Stato membro verrebbe ulteriormente compromessa.

Ma una tale revisione dell’ETD dispiegherebbe i suoi effetti anche nei servizi di crociera di prossimità, con il rischio – quantomai concreto – di cambiamenti nelle schedule delle maggiori compagnie, che a quel punto potrebbero ridurre le toccate nei porti europei a fronte dell’inserimento di toccate in porti extra UE per rifornirsi.

È noto che, appena fu resa nota la proposta di compromesso belga, alcuni stakeholder avevano evidenziato tali criticità ai massimi livelli dello Stato. I dicasteri coinvolti sono senz’altro il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. L’uno potrebbe considerare la misura come un’opportunità di maggiore ricavo (lo hanno senz’altro pensato altri Paesi meno esposti di noi sul versante del trasporto marittimo), mentre il dicastero guidato dal Ministro Salvini ha dovuto considerare le istanze di coloro che chiedevano al Governo italiano di assumere una posizione sulla proposta di compromesso della Presidenza Belga a seguito di un’attenta ponderazione economica. Una ponderazione che tenesse conto non soltanto dell’impatto sul trasporto marittimo, ma anche delle conseguenze di questo impatto sulle attività portuali e sull’aumento del trasporto terrestre con le esternalità negative del caso oltre alla evidenti ricadute sociali che si sarebbero andate a creare.

Un’azione politica che ha portato i suoi frutti, poiché, con un tempismo ammirabile, alla riunione del 26 marzo scorso il nostro Paese ha sollevato più di una riserva trascinando di fatto Paesi meno “pesanti” quali Malta, Cipro e Grecia. Una alleanza significativa, perché, sebbene sia sufficiente anche un singolo voto contrario per bloccare il processo di revisione della Direttiva (difatti, trattandosi di materia fiscale serve l’unanimità dei voti in Consiglio), potrebbe essere il peso politico dei singoli Stati a contare più delle regole procedurali al momento di ufficializzare l’eventuale bocciatura del testo.

Allo stato attuale, si rinforzano quindi le possibilità di respingere il tentativo d’inclusione del trasporto marittimo nella Direttiva nell’eventuale prosecuzione dei negoziati. A quel punto la stessa Commissione Europea potrebbe decidere, alla luce di un cambio così significativo dell’impianto della sua proposta, che sarebbe più opportuno ritirarla anziché portarla a termine.

Dovremo monitorare un’eventuale nuova proposta belga per comprendere se la stagione del rigorismo (in mancanza di serie alternative) sia davvero finita come peraltro sembrerebbe dimostrare un ulteriore fattore d’incertezza sul futuro dei negoziati, dato dalla difficoltà del Parlamento Europeo di trovare, fino ad oggi, un accordo per emanare la propria opinione sul testo: opinione che pur non essendo vincolante deve comunque essere emanata per la conclusione del processo legislativo.

Fonte: LinkedIn