Stop the clock”. È stato chiamato così il ‘meccanismo’ che ha permesso all’aviazione di stoppare l’applicazione dell’EU-ETS per i voli che avessero destinazione o provenienza in Paesi che non fanno parte dell’Unione Europea e dello Spazio Economico Europeo. Letteralmente, e la traduzione calza a pennello anche in italiano, “fermare le lancette”, in attesa che si possa valutare l’efficacia di una norma analoga, ma estesa a livello globale. È esattamente quello che si chiede anche per il trasporto marittimo, a tutela in particolare dei porti di transhipment, come quelli di Gioia Tauro e Malta, dove fare scalo sarebbe economicamente svantaggioso rispetto alla sponda Nord dell’Africa, vale a dire fra gli altri Port Said e Tangeri, come abbiamo già visto.

Ma facciamo un passo indietro. La direttiva che estende l’Emission Trading System all’aviazione è del 2008, con effetto a far data dal 1° gennaio 2012. È qui che si inserisce lo “stop the clock”. La Commissione Europea stessa propone e ottiene un anno di pausa per l’applicazione della misura ai voli extra UE, in attesa che l’ICAO (l’International Civil Aviation Organization, ovvero l’equivalente dell’IMO per l’aviazione) definisca un sistema analogo, che venga applicato a livello internazionale e non solo europeo. Un progetto che prende vita, viene chiamato CORSIA, acronimo per Carbon Offsetting and Reduction Scheme for International Aviation, ma lo fa con tempi tutt’altro che celeri, tant’è che a livello globale siamo ancora oggi in una fase di sperimentazione, in cui la sua applicazione è su base volontaria. E così lo “stop the clock” perdura inizialmente sino al dicembre dell’anno scorso (altro che un anno!), quando il Parlamento e il Consiglio europeo raggiungono un compromesso e decidono di estenderlo addirittura sino al 2026, in attesa di valutare l’applicazione del CORSIA ai voli con arrivo o provenienza extra UE. A quel punto la Commissione verificherà se lo strumento voluto dall’ICAO soddisfi gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e, a valle di questo esame, proporrà se estendere o meno l’ETS anche ai voli extraeuropei.

Si tratta di una misura che adesso può essere applicata anche per il trasporto marittimo. Includere nell’EU-ETS le rotte transoceaniche significherebbe infatti far perdere drammaticamente competitività ai porti di transhipment nel Sud Europa. Perché mai un armatore, su una rotta che va da Shanghai a New York, dovrebbe decidere di fare transhipment a Gioia Tauro o Malta, incappando nel pagamento dell’ETS, quando potrebbe farlo in un altro scalo come Port Said? L’Italia perderebbe di fatto la totalità del traffico di transhipment, e il tutto senza alcun beneficio a livello ambientale: si concretizzerebbe insomma la cosiddetta “elusione”, e lo strumento individuato dalla Commissione per prevenirla (la “regola delle 300 miglia”) sarebbe del tutto inadeguato.

In sostanza, per garantire il level playing field ed evitare – fra l’altro – la perdita di migliaia di posti di lavoro e il controllo nazionale su snodi fondamentali della logistica esistono due strade. La prima, attuare anche per il trasporto marittimo quanto è stato fatto per l’aviazione: uno “stop the clock” per tutti quei collegamenti (e quindi quei porti) che sarebbero eccessivamente penalizzati dall’ETS, in attesa che l’IMO definisca una norma globale e non regionale. Esattamente come è stato fatto per l’aviazione. La seconda, arrivare ad un riesame della misura da parte della Commissione in tempi rapidissimi, per individuare e prevenire già in una fase iniziale i comportamenti elusivi, con l’obiettivo di giungere ad una revisione tempestiva della stessa prima che i processi di trasferimento delle linee marittime diventino potenzialmente irreversibili.  Le soluzioni e le alternative dunque non mancano, sono concrete e già sperimentate.

 

di Alberto Rossi (fonte: LinkedIn)

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