Proprio mentre a Bruxelles si vivono giorni decisivi per quanto riguarda l’impatto dell’ETS sui porti europei, in particolare – come abbiamo già avuto modo di vedere diffusamente – per gli scali di transhipment, occorre fare molta attenzione ad un’altra proposta della Commissione che rischia di avere effetti altrettanto dirompenti sul nostro assetto portuale. Si tratta dell’adozione del Codice Unico Doganale, che porta con sé alcune novità senz’altro positive, ma nasconde anche insidie non di poco conto.

Partiamo da queste ultime, verosimilmente figlie del fatto che nello stilare il nuovo Codice si siano prese in notevole considerazione le legittime esigenze del trasporto su strada e di quello aereo, meno quelle relative al trasporto marittimo. In particolare desta notevole preoccupazione la proposta che prevede la riduzione del ‘temporary storage’ da 90 a 3 giorni. Si tratta a tutti gli effetti di una nuova ‘rivoluzione’, che comprime drasticamente i tempi sino ad oggi previsti, e che se non sarà modificata nei successivi passaggi – li vedremo più avanti – comporterà ripercussioni negative sull’import e, ancora una volta, sulle attività di transhipment. Ma, esattamente come abbiamo visto per l’ETS, i riflessi saranno per tutti i porti.

A essere messo in crisi sarebbe il modello ‘hub & spoke’ dello shipping che prevede l’impiego di navi di grande capacità su rotte transoceaniche, il deposito della merce nei porti di transhipment e infine la presa in carico da parte di navi più piccole (solitamente) per raggiungere la destinazione finale. Avere a disposizione appena tre giorni di ‘temporary storage’ è in tutta evidenza insufficiente: non è un tempo congruo per permettere a questo modello di business di continuare a funzionare ed è difficile capire le ragioni che hanno portato a tale ipotesi, visto che non se ne intravedono i potenziali benefici. E – ancora una volta proprio come nel caso dell’ETS – un approccio così restrittivo rischia di minare alle fondamenta la competitività dei porti italiani, a tutto vantaggio di scali posti appena al di fuori dell’UE, che non sarebbero soggetti a tale nuova regolamentazione. Tradotto in termini pratici: sarebbe ancora una volta molto più conveniente fare attività di trasbordo negli scali Nord Africani (Tanger Med e Port Said, per esempio) rispetto a Malta, Gioia Tauro, Algeciras. La misura è altresì destinata ad incidere sui porti ove la percentuale di transhipment è inferiore (come Trieste, Genova e La Spezia per esempio).

Ancora, la proposta di riforma prevede che la merce sia considerata come in ‘temporary storage’ non appena la nave su cui è trasportata arriva nel primo porto europeo di scalo. Occorre invece mantenere la distinzione attuale: la merce viene notificata come ‘arrived’ quando è ancora a bordo, e diventa ‘presented’ alla dogana solo quando viene scaricata. Anche in questo caso, una difformità che può apparire ‘sottile’ ma che, come si intuisce, può fare una grande differenza.

Tuttavia, la proposta relativa al Codice Unico Doganale contiene anche elementi positivi. La messa a terra di un sistema unico a livello europeo infatti può consentire procedure più snelle e uniformi a livello continentale, andando a sostituire un mosaico di sistemi diversi da Paese a Paese che può comportare un aumento dei costi dovuto alla burocrazia. Come sempre è necessario che questo processo però sia ‘accompagnato’.

Quali sono i prossimi passi? Il primo voto sarà a gennaio presso la Commissione IMCO (Mercato interno e Protezione dei consumatori), entro la fine della legislatura (parliamo quindi del prossimo aprile) se ne discuterà in sessione Plenaria. Le negoziazioni fra Parlamento e Consiglio, con ogni probabilità, avverranno nel corso della nuova legislatura.
Un percorso legislativo da tenere in grande considerazione e sul quale intervenire per portare all’attenzione dei decisori le specificità del trasporto marittimo, principale asset per l’import e l’export europeo ed elemento imprescindibile per lo sviluppo dell’industria.

di Alberto Rossi (fonte: LinkedIn)

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